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testo di prova

Torre dei Mori

Torre del Porto, Torre dell’Orologio, Torre dei Mori

Per secoli custode silenzioso dell’ingresso alla città, il “Porton del Ponte de le Hore” rimase testimone della vita cittadina fino al 1939.

Porta orientale della città, la Torre dei Mori fu costruita nel XIV secolo sopra la porta castellana che dal Porto (oggi Piazza del Popolo) conduceva in Borgo Ricco, verso il Friuli, trasformando uno dei tanti torrioni posti lungo le mura della città.

L’allora Torre del Porto, così chiamata inizialmente per la vicinanza con l’approdo delle imbarcazioni che risalivano il Livenza, nel 1483 viene descritta da Marin Sanudo come Torre dell’Orologio, con due mori in legno che battevano le ore su di una campana antichissima, fusa nel 1397, recante iscrizioni, decorazioni e lo stemma della Comunità.

Riformata nel 1582 su delibera del Magnifico Consiglio cittadino, la Torre dei Mori resistette fino al 1917, quando, con l’occupazione austro-ungarica in città, i due Mori furono tolti dalla cella campanaria e bruciati, mentre la campana fu trafugata e trasportata in una sconosciuta fonderia per l’industria bellica.

Nel 1927 il Comune commissionò una nuova campana alla fonderia De Poli di Vittorio Veneto ed un’altra coppia di Mori allo scultore Giuseppe Scalambrin, che li realizzò in legno verniciato color bronzo. Qualche anno dopo, all’alba di domenica 18 ottobre 1936 una fortissima scossa di terremoto danneggiò seriamente la Torre dei Mori. Essa fu quindi abbattuta fino al livello inferiore del quadrante dell’orologio, in attesa di decidere definitivamente se demolirla o restaurarla. Sul valore storico del manufatto prevalsero però le ragioni della viabilità e del traffico in aumento, per le quali lo stretto passaggio costituiva un reale ostacolo. Fu per questo demolita agli inizi del 1939, non prima di aver consegnato al Comune i due Mori in legno ed il materiale che costituiva l’orologio.

Chiesetta San Giovanni Battista di Livenza

Uno scrigno campestre che custodisce affreschi post bizantini ed un crocifisso ligneo miracoloso.

A sud di Sacile, su una piccola altura nei pressi del fiume Livenza, sorge la chiesa di San Giovanni Battista, una chiesetta di antiche origini: il complesso architettonico ed il manto decorativo si presentano di particolare interesse artistico e storico.

Le origini della chiesa di San Giovanni Battista vengono fatte risalire al 1300, anche se la prima attestazione della sua presenza in loco risale al 1233.

L’edificio si caratterizza con una forma geometrica rettangolare a navata unica che raccoglie l’aula dell’assemblea ed il presbiterio. La copertura interna è costituita da capriate in legno con soffittatura in mattoncini e a volta intonacata; la copertura esterna è a capanna. L’orientamento del presbiterio e dell’altare è rivolto ad est come riferimento e preghiera ai luoghi di Gesù. Il campanile è a vela e si innalza nel prospetto di ingresso.

Alla chiesa si accede percorrendo una pavimentazione di recente realizzazione (XX secolo) caratterizzata da un forte simbolismo: le piastrelle in marmo di colore diverso raffigurano la croce, l’acqua del Giordano, Giovanni Battista ed il battesimo di Gesù.

All’interno si possono ammirare preziosi affreschi post bizantini attribuiti alla scuola veneto-cretese del XVI secolo: sopra l’arco trionfale a tutto sesto che conduce all’altare si trova raffigurato Dio Padre con ai lati l’Angelo annunziante e la Vergine Maria, più sotto sono affrescate le immagini dei santi apostoli Pietro e Paolo. Sulla parete destra c’è il Battesimo di Gesù al Giordano in cui è presente una figura inginocchiata di donatore con libro in mano e con la data del 1593. Sulla parete sinistra si trova un’opera in stile diverso, attribuita a Girolamo Stefanelli, raffigurante la Madonna in trono con bambino e due santi in piedi, San Giovanni Battista e San Giacomo minore con l’iscrizione “S. Carlo de Vettor ha fatto fare per suo avodo et devocion MDLXXXXIII”.

Dietro l’altare si può ammirare un antico crocifisso di ignoto autore del Cadore. Si tratta di una splendida scultura lignea policroma realizzata con legno di tiglio nel ‘500, la croce invece è di epoca più recente. La sua collocazione attuale nel contesto della Chiesa riassume i punti fondamentali del Credo cristiano: incarnazione, morte e resurrezione di Cristo (affresco dell’Annunciazione, il Crocefisso, l’altare della Messa). Questa bellissima opera è stata infatti nei primi anni del 700 “testimone” di un evento “miracoloso” di cui alcune notizie sono state ritrovate nel registro parrocchiale di Francenigo.

Sulla parete laterale sinistra verso il centro c’è una sorta di tabernacolo con nicchia dove è sistemata una statuetta moderna di S. Antonio da Padova mentre su quella di destra una tela di epoca più recente (XIX secolo) raffigura San Giovanni Battista che battezza Gesù.

All’interno della Chiesa è custodita inoltre una bellissima Via Crucis in bronzo dello scultore contemporaneo Giorgio Igne donata dalle locali famiglie Mazzon. L’artista in quest’opera conferma tutte le caratteristiche espressive della sua arte, spesso oggetto di temi religiosi visti in chiave di scoperta del mondo contemporaneo. Il suo linguaggio forte è espressione di un arte che tramanda la storia, incide le verità scolpite nella coscienza di ognuno.

Chiesa San Liberale

Sorta sulla scia di un miracolo, custodisce le spoglie di San Liberale martire.

Il Tempio di San Liberale sti staglia solenne al termine di Viale Zancanaro: è il custode del Santo coprotettore di Sacile.  

Una storia intessuta di distruzioni e rifacimenti, le origini della Chiesa di San Liberale si fondano sulla scia di un miracolo.

La leggenda racconta che un giorno un contadino sacilese stava arando il campo con un paio di buoi: improvvisamente i due animali si inginocchiarono davanti ad alcuni resti di ossa umane rimossi dall’aratro. L’evento fu ritenuto miracoloso al punto che sul luogo sorse – in onore a San Liberale confessore – un capitello divenuto subito meta di fedeli da tutti i paesi vicini.

Nel 1683, al posto del sacello, venne innalzato un tempio e qualche anno dopo, nel luglio del 1694, furono qui traslate – dalle catacombe di Roma – le spoglie di un soldato romano, di nome Liberale, un pagano fattosi cristiano e morto martire della fede.

Nel 1917, nel corso dell”occupazione nemica, la chiesa fu profanata e danneggiata pertanto nel 1926 venne demolita e si provvide a ricostruire al suo posto l’attuale edificio con l’intento di farne un ossario per i caduti sacilesi della Grande Guerra. Il progetto, dovuto all’ing. Riccardo Bertoja è ispirato al famoso dipinto di Raffaello “Lo sposalizio della Vergine”.

I lavori del nuovo tempio si protrassero per decenni e solo agli inizi degli anni sessanta venne aperto al culto con la definitiva sistemazione della reliquia del Corpo di San Liberale martire sull’altare maggiore.

L’interno, del tutto circolare, si presenta con le sue qualità architettoniche e stilistiche; sono assenti le decorazioni artistiche, non previste in progettazione.

Chiesetta di San Daniele

Ultima spoglia di un antico castello, custodisce al suo interno affreschi del 1300.

La Chiesetta di San Daniele si trova nell’antico borgo di Topaligo, “un castello, hora piccola villa del territorio, non più di mezzo miglio fuori Sacile dove si va per la porta di S. Antonio”.

La Chiesetta di San Daniele è un piccolo edificio religioso situato nella frazione di Topaligo, antico borgo cittadino a sud della stazione ferroviaria abitato già in età longobarda. Incerta l’origine del nome del luogo: “luogo ricco di pioppi” o “luogo legato al commercio di sale” che sia, le origini di Topaligo sono molto antiche.

Edificata in origine intorno al 1100 nei pressi di un castello distrutto già sul finire del XII secolo, l’attuale struttura, secondo alcune fonti, risale al Quattrocento, altri documenti ancora citano la chiesa di San Daniele in occasione di visite pastorali del 1512 e del 1554. E’ sempre appartenuta alla diocesi di Concordia, a differenza delle altre chiese sacilesi soggette al patriarcato di Aquileia e ancor oggi è punto centrale della vita di Topaligo.

All’interno sono ancora visibili pregevoli affreschi del XIV secolo, opere di grande valore artistico che ritraggono una crocifissione e ai lati figure di santi ed un quattrocentesco affresco di San Sebastiano.

Il quadro grande, olio su tela, era certamente pala d’altare. E’ di pregevole fattura riferibile al 1600-1700 e rappresenta una Madonna con Bambino e S. Daniele col leone e S. Floriano con bue.

Chiesetta di Fossabiuba (Madonna delle Grazie)

Piccola e solitaria chiesa campestre dedicata alla Madonna delle Grazie, rappresenta l’unico vestigio del feudo di Fossabiuba.

Sorta nel mezzo della campagna di Vistorta nel 1014, distrutto il castello e le sue adiacenze, la chiesa sopravvisse in un silenzio profondo e religioso che ancora oggi l’attornia.

La Chiesetta della Madonna delle Grazie di Fossabiuba si trova a Vistorta, suggestiva frazione a sud di Sacile ed è stata per anni meta di pellegrinaggi e centro di devozione che attingeva alla cultura e alle tradizioni della vita contadina. Detta anche di “Fossabiuba” per la vicina presenza del fiume Meschio, che segnava l’antico confine del feudo e ricordava la fossa biuba, dal dialetto “bevuda”, corso d’acqua dove gli animali si dissetavano.

Edificata in altura nel 1014 con il nome di Santa Maria Nascente era parte del feudo di Fossabiuba di Giacomo Del Ben, detto il potentissimo, che in quegli anni portò ai massimi splendori le proprietà di famiglia, al punto da diventare il castello più abitato della zona. Circondato e protetto da mura e corsi d’acqua, aveva 4 porte di ingresso in corrispondenza dei 4 punti cardinali, una “bella piazza”, numerose officine e botteghe. Il feudo era rinomato e ricercato anche per la salubrità dell’aria e la presenza di corsi d’acqua.

Il declino e la distruzione iniziarono per opera dei Caminesi nel 1199, la piccola chiesa, edificata in altura con il nome di Santa Maria Nascente, resistette ai tempi, fu successivamente intitolata a Santa Maria degli Angeli e divenne infine Chiesa delle Grazie nel 1462 con i padri eremitani di S. Agostino che la restaurarono ed abbellirono. Risalgono proprio al XVI secolo almeno due degli affreschi che si trovano all’interno ed attribuiti alla scuola friulana. Dal 1973 è di proprietà della parrocchia di Cavolano che, a seguito del terremoto del 1976, è intervenuta con importanti interventi di restauro.

La Chiesa della Madonna delle Grazie è composta da un’unica navata, presenta al suo interno un altare ligneo dorato del periodo settecentesco donato alla comunità affinché la città fosse preservata dal colera. Sull’altare è collocata una Madonna in legno restaurata recentemente e vestita secondo la tipologia di abiti usati dalle donne quattrocentesche.

Pregevoli e, per alcuni, le più interessanti pitture murali del territorio, sono gli affreschi, talvolta sovrapposti l’uno all’altro come emerso dai lavori di restauro, realizzati quasi come ex voto in un arco temporale che va dalla fine del ‘300 ai primi ‘600.

Gli affreschi raffigurano perlopiù la Madonna, tra i più significativi sono l’immagine di Madonna con Bambino sopra la porta laterale destra risalente alla prima metà del XV e la Madonna con bambino e vescovo sopra la porta d’ingresso della fine del XVI, mentre, sulla parete di sinistra si scopre  l’affresco, un po’ rovinato, dell’Ultima Cena.

Chiesetta della Pietà

Una chiesa fortemente voluta dalla comunità di Sacile.

La chiesa di Santa Maria della Pietà è un monumento legato fin dalle sue origini alla fede popolare cittadina; da secoli si affaccia sulle limpide acque del fiume Livenza accogliendo ogni fedele ed ogni visitatore giunto per vedere la statua di S. Maria della Pietà, anche nota come Vesperbild.

Assurta a simbolo della città liventina, questa chiesa ha sempre goduto di una profonda devozione popolare tanto che, per le festività mariane di un non lontano passato, si celebravano grandi e solenni manifestazioni.

La costruzione della chiesa venne iniziata nel 1611 a seguito di un evento miracoloso verificatosi nell’agosto del 1609: un’immagine “della Pietà” – da tempo collocata nei pressi del ponte delle “pianche” che consentiva l’accesso nella piazzetta del Duomo – aveva incominciato a lacrimare. Presto si parlò di miracoli e di guarigioni insperate e i fedeli accorsero numerosi anche dalle comunità vicine. Il Consiglio della Magnifica Comunità di Sacile ottenne, dopo una lunga e controversa diatriba con il Senato Veneto e la diocesi di Aquileia, di poter fabbricare nei pressi del ponte una chiesetta per meglio conservare la miracolosa statua. La chiesa venne finalmente consacrata all’inizio del 1616 e nel 1630 venne realizzato l’altare da Valentin dell’Huomo di Udine. Tra il 1623 e il 1645 si arredò l’interno e si abbellì l’edificio con diversi decori artistici.

Nel corso dei secoli la chiesa è stata più volte sottoposta ad una serie di lavori di restauro e di rifacimento.

L’edificio si presenta oggi con un raffinato e originale disegno a pianta centrale, con le pareti incernierate le une alle altre da lisce paraste con capitelli a imitazione ionica e reggenti a loro volta una doppia trabeazione dalle ampie e nude specchiature di parete aperte al centro da occhi rotondi e fortemente strombati. Suggestivo è il porticato d’ingresso: un atrio a doppio loggiato che si alza direttamente dalle acque del Livenza.

L’interno della chiesa è costituito da un’unica aula esagonale coperta con volte e da un profondo presbiterio che accoglie l’unico altare presente, sulla destra del quale una porta da’ accesso alla sagrestia.  L’altare in pietra è stato scolpito dall’udinese Valentino dell’ Huomo intorno al 1626 ed è attualmente collocato sul fondo del coro e addossato alla parete.

Sopra l’altare si può ammirare la sacra scultura, un’antica statua (XV sec.) della Madonna con il Cristo deposto, nota anche con il termine tedesco Vesperbild, un particolare genere di scultura assai diffusa nell’area veneto-friulana nel Quattrocento e oggetto di grande venerazione da parte dei fedeli.

Attualmente, la statua della Pietà appare di aspetto bianco giallastro, ma originariamente possedeva un aspetto diverso e, fino al secolo scorso, essa era ancora ricoperta di uno strato pittorico, testimoniato oggi solo da alcune tracce di colore sulla superficie. La statua, considerata da sempre in pietra renaria, è nella realtà un’opera realizzata con un impasto artificiale la cui tecnica, di origine tedesca, è meglio nota sotto il termine di Gußstein. Tale materia, a base di gesso e sabbia, era utilizzata per realizzare statue o decorazioni architettoniche; essa consentiva di essere facilmente lavorabile, permettendo risultati di estrema ricchezza formale.

Chiesa San Gregorio

Posta nell’antico borgo, sulle sponde del Livenza, conforto spirituale per viandanti e pellegrini.

Elegante e sobrio centro culturale, la chiesa di San Gregorio testimonia ancora oggi il suo passato di luogo di culto e di protagonista delle vicende belliche. La storia è passata di qui.

La chiesa di San Gregorio sorse nel borgo omonimo, sul luogo di una preesistente chiesetta voluta nel 1331 ed eretta nel 1345 dalla Congregazione dei Battuti a conforto degli ammalati del vicino ospedale intitolata dapprima a Santa Maria della Misericordia, quindi alla Madonna e a San Gregorio, poi dal 1437 solo a quest’ultimo, fu interamente rifatta ed ampliata nel 1514 su progetto di Bernardino da Portogruaro. Nel marzo del 1524 vennero consacrati l’altare maggiore dedicato a San Gregorio ed un altare laterale dedicato a San Rocco e San Sebastiano, come si evince dallo scritto sula parete sinistra dell’abside.

L’attuale costruzione è frutto di un succedersi di ampliamenti ed ammodernamenti e si presenta quindi come il risultato di diversi stili architettonici. L’interno presenta una soluzione architettonica interessante determinata dal rapporto tra la spazialità quattrocentesca della navata unica e i volumi rinascimentali del catino absidale e della cupola. La facciata esterna, con muratura di mattoni, è caratterizzata da un portale e da un arco trionfale in pietra d’Istria in stile rinascimentale. Frammenti di affresco sono inoltre riscontrabili sulle pareti rappresentanti lo stemma della città e un San Giacomo ritratto dentro un’edicola rinascimentale; sul pavimento sono state riposte alcune delle lapidi tombali di famiglie nobili sacilesi.

La torre campanaria, la cui costruzione è stata più volte interrotta, risale al Seicento, mentre di epoca più tarda sono gli altari laterali e la sagrestia.

L’edificio ora è di proprietà comunale e con l’adiacente Ospitale forma il complesso di San Gregorio, un importante centro culturale di riferimento per concerti, convegni, spettacoli e mostre.

Centro Studi Biblici

A Sacile un centro unico nel suo genere per la conoscenza e lo studio della Bibbia.

La cultura ed i testi sacri si fondono in una proposta unica: il Centro di Studi Biblici si presenta come luogo di approfondimento teologico e di confronto sulle tematiche religiose e di attualità.

Ospitato all’interno di Palazzo Ovio-Gobbi, antica nobile dimora ora sede parrocchiale, il Centro di Studi Biblici fu fondato nel 1976 dal Prof. Giuseppe Scarpat esperto biblista e da Mons. Pietro Mazzarotto, allora Parroco del Duomo di Sacile. Sorse inizialmente come risposta all’esigenza di formazione del clero dopo il forte richiamo del Concilio Vaticano II, presto però divenne un punto di riferimento per i laici e la loro sete di conoscenza ed approfondimento dei testi biblici.

Obiettivo principale del centro è di far conoscere la bibbia a vari livelli: di accostamento, di studio elementare e di approfondimento esegetico sistematico.

Nel tempo si sono diversificate le attività anche per rispondere all’esigenza del territorio e per essere in sintonia con gli obiettivi che nel frattempo si erano rinnovati ed arricchiti. Le proposte vanno dallo studio dei testi biblici realizzato su due livelli, uno più semplice di accostamento ed uno di studio esegetico approfondito, agli incontri di aggiornamento biblico-culturale, ai laboratori di lingua (greco biblico e lingua e cultura ebraica). Periodicamente vengono realizzati anche pellegrinaggi e viaggi studio in Terra Santa (corsi di studio veri e propri tenuti da esperti biblisti del luogo), letture spirituale della bibbia in prossimità del Natale, rappresentazioni teatrali su testi biblici o su tematiche tratte da testi biblici, incontri relativi alla musica, al cinema, alla letteratura, per vedere come questi altri aspetti del sapere si incrociano con quello che il testo biblico veicola.

Unica nel suo genere nel triveneto, è la biblioteca, che con le sue due sale speculari, offre una accurata selezione di testi a carattere biblico, pastorale, teologico e conta più di 13.000 volumi in italiano, tedesco, inglese e francese oltre ai testi della bibbia in ebraico, greco, latino, aramaico, copto, cinese e giapponese.

I libri più antichi provengono dal Seminario di Vittorio Veneto, c’è una Bibbia del 1543, commentari del 1600 e 1700, ma il settore è soprattutto specializzato sul biblico moderno. Molto curato è anche il settore patristico con la raccolta completa di Sources Chrétiennes, oltre 520 volumi e le opere complete dei padri della Chiesa, tra i quali Sant’Agostino e Sant’Ambrogio. Completano l’offerta un settore teologico, un settore storico ed un settore della storia delle religioni. La biblioteca viene consultata prevalentemente da specialisti, ricercatori universitari, laureandi in teologia e o scienze religiose ed ha settore divulgativo, consultativo e di approfondimento in abbinata ai corsi.

Il rapporto del Centro di Studi Biblici con la Terra Santa è duplice: da un lato è sempre stata un bacino di arricchimento di testi (rarissimi, che non si trovano in Italia), dall’altro vede il centro presente sul territorio con seminari residenziali e pellegrinaggi. A Sacile, la sala convegni è intitolata al Patriarca di Gerusalemme.

Dal 2001 il Centro è diretto dal biblista Mons. Rinaldo Fabris; nel 2002 ha ottenuto il riconoscimento di organismo culturale di rilevante interesse dalla regione Friuli Venezia-Giulia. Il presidente è da sempre Mons. Pietro Mazzarotto.

Mura e Torrioni

Confini e difese cittadini.

Percorrendo le vie della città si scoprono scorci di quello che è stato sistema difensivo di Sacile, fatto di robuste mura, porte e torrioni.

La città odierna presenta alcune significative tracce della rocca e delle mura che cingevano la Sacile medioevale, ovvero patriarchina e che ci rimandano al suo connotato originario di avamposto militare del Friuli.

Originariamente Sacile era difesa da una cinta muraria con cinque torrioni, di questi oggi ne rimangono tre, che si possono scorgere in centro città.

Il più antico risale al dodicesimo secolo, quando furono erette le mura a difesa dalle invasioni ungare del X secolo. Si trova dietro il Duomo di San Nicolò, ai margini della passerella sul Livenza che conduce a Campo Marzio e che apre la vista sul Canale della Pietà e sui palazzi di Piazza del Popolo.

Gli altri due, più recenti, sono quelli di San Rocco e del Foro Boario eretti tra il 1470 ed il 1485 a difesa della città minacciata dall’invasione turca. Facevano parte di un grosso sistema difensivo ed erano collegati tra loro da cunicoli sotterranei.

L’imponente torrione di San Rocco con resti di mura in Largo Salvadorini, acquisisce una dimensione dal significato importante, vista la presenza del Leone alato di San Marco, residuo visibile e testimonianza diretta della presenza della Repubblica della Serenissima con l’allora doge Giovanni Mocenigo.

Il Foro Boario, con il torrione ben conservato e le mura difensive della città, permette invece una buona, seppur ridotta visione d’insieme di come doveva essere il sistema difensivo della città, sorto intorno a vecchio castello patriarcale, successivamente divenuto sede dei primi podestà veneziani. Recenti interventi di riqualificazione dell’area, hanno permesso la creazione di una passeggiata esterna alle mura, lungo il fiume Livenza, che prosegue con una suggestiva passerella che costeggia il torrione fino al parco di Pra’ Castelvecchio.

Mura

Torrione del Duomo

Torrione di Pra Castelvecchio

Torrione di San Rocco

Palazzo Ettoreo

Una residenza nobiliare nel cuore della città, testimone della storia e del tessuto urbano di Sacile.

Originariamente residenza signorile appartenuta alle famiglie Ettoreo e Vando, Palazzo Ettoreo si staglia imponente a sorvegliare il Livenza in uno dei più suggestivi scorci di Sacile e racconta gli oltre cinque secoli di vita cittadina.

Situato all’angolo tra via Pelizza e Campo Marzio, il palazzo fu innalzato nella prima metà del XVI secolo su una precedente struttura in stile gotico dalla famiglia nobile Ettoreo. Posto in quello che allora era Borgo Fratta, si presenta con aspetto imponente, in stile cinquecentesco con vaghe reminiscenze lagunari.
In origine il palazzo doveva apparire particolarmente ricco, con ampi saloni decorati da dipinti murali e loggia esterna. Con la sua struttura a portico e con le due botteghe al piano terreno, prendeva parte al ruolo economico-commerciale assunto dalla piazza che lo ospitava.
Questa nobile dimora conserva ancora l’aspetto classico ed elegantemente sobrio tipico dell’architettura veneziana rinascimentale; ha pianta trapezoidale, un imponente scalone in pietra che porta al salone nobile, una bella quadrifora in pietra d’Istria che poggia su un ampio porticato con archi a tutto sesto ed una suggestiva finestra d’angolo che regala una inconsueta panoramica sul Livenza.
Dei numerosi affreschi restano oggi alcune labili tracce sulle facciate, dove si possono individuare tre putti alati, che probabilmente andavano a completare una decorazione complessa con soggetti storici o mitologici ed un lacerto in una cornice rotondeggiante sotto il porticato: una Madonna con bambino databile ai primi del Settecento, un dipinto a carattere devozionale frutto di maestranze locali. Il bel portico si estende sui due prospetti esterni: tre eleganti arcate a tutto sesto poggianti su colonne ottagonali in pietra bianca e soffitto con travi a vista danno su via Pelizza, mentre verso Campo Marzio si sviluppa una linea di sei archi impostati su pilastri in mattoni a base rettangolare che racchiudono le originarie colonne in parte visibili e che sorreggono una deliziosa loggetta cinquecentesca. Da notare sul pilastro angolare, due bassorilievi riproducenti due animali fantastici alati, un grifone ed un drago, mentre la colonna centrale porta ancora scolpito lo stemma della famiglia Ettoreo.
Il palazzo, ora proprietà comunale, ospitò per oltre un secolo la locanda del “Leon d’oro”: fu qui che Silvio Pellico pernottò il 25 marzo del 1822, durante il suo trasferimento allo Spielberg.

CAMPO MARZIO

Il trecentesco Borgo Fratta, ora Campo Marzio, con il ponte che lo collegava a Piazza del Popolo, costituiva passaggio obbligato tra il cuore della città e Borgo San Gregorio. Economicamente attivo e vivace, alla fine del XV secolo su questo campo si affacciavano diverse attività commerciali ed edifici rinascimentali di gusto veneziano. I palazzi Pelizza (ora perduto) ed Ettoreo con la loro struttura a portico e le botteghe al pianterreno, prendevano parte al ruolo commerciale della piazza, mentre di epoca successiva è Palazzo Candiani. Sullo sfondo il Livenza disegna una delle sue più belle anse mentre la passerella che conduce al Duomo permette in questo punto una suggestiva vista sul fiume, sui vecchi bastioni del periodo comunale, sulle dismesse centraline elettriche e sui palazzi di Piazza del Popolo.